TREMONTI – “Dust”
• (2016 – Fret12 Records) •
Dopo aver avuto modo di ascoltare più e più volte l’ultima fatica di Mark Tremonti è evidente come, anche stavolta, il musicista originario di Detroit sia riuscito a realizzare una nuova pietra miliare nella sua intensa carriera artistica, soprattutto nell’ambito del percorso del progetto solista che porta proprio il suo nome (anzi, per la precisione, il cognome).
Se infatti “All I Was” poteva rappresentare il disco del debutto (interessantissimo in tutte le sue tracce e varie sfaccettature) ed il successivo “Cauterize” il disco della conferma (seppur sotto vesti di alcuni interessanti esperimenti e cambiamenti stilistici), questo “Dust” potremmo dire che è l’album dell’evoluzione, se non addirittura il lavoro che contribuisce alla maturità di questo notevole artista.
Per chi non lo conoscesse abbastanza a fondo il suono di Mark, è necessario precisare che, comunque, stilisticamente tutto si muove all’interno di un territorio e confine ben preciso che, nel corso degli anni, questo artista è riuscito a delineare in modo molto personale e ben preciso, creando un vero e proprio marchio di fabbrica (quello che i colleghi americani potrebbero definire, con un gioco di parole, un tradeMARK).
“Dust” è un disco che cresce sempre, sia durante l’ascolto dei singoli brani, sia durante i diversi ascolti di tutto l’album.
Al suo interno possiamo trovare episodi di rara unicità e bellezza: è uno di quei dischi che ti viene voglia risentire per tanti motivi (in questo caso, di sicuro, almeno 10 ottimi e validi motivi).
E’ questo uno di quei lavori che ti mette dentro anche quel desiderio, (che poi diventa facilmente curiosità) di poter apprezzare questi brani in un contesto live, sia per ascoltarli suonati dai musicisti che li hanno concepiti, sia per godersi le tracce suonate dal vivo, ma soprattutto per poter cantare alcuni ritornelli a squarcia gola.
Proprio un paio di brani contenuti in questo disco potrebbero tarnquillamente ambire alla qualifica di “rock anthem” a tutti gli effetti (ad esempio la title track, dal ritornello “ipnoticamente indimenticabile”, già quasi al primissimo ascolto).
Ogni traccia presenta una sua marcata individualità, anche se, tra alcune di esse sembrerebbe possibile notare talvolta alcuni collegamenti che creano degli interessantissimi legami, quasi come se ci fossero dei “ponti” che ti traghettano da un’atmosfera all’altra all’interno del disco (ponti da non confondere però con alcuni “Altri Ponti”, da cui il nome di un altro importante progetto fondato da Mark).
Tra l’altro è proprio in occasione di questo albumm che è possibile ascoltare Tremonti in una versione davvero inedita e mai ascoltata prima, sia dal punto di vista compositivo, ma soprattutto dal punto di vista vocale. Sembra quasi che l’artista abbia voluto esplorare nuovi territori espressivi, ad esempio, in alcuni casi, in direzione di toni vocali più aggressivi e graffianti, (davvero azzeccati per la resa di alcuni brani specifici).
Da questo punto di vista abbiamo potuto riconoscere alcune rivelazioni che Mark ci aveva anticipato in una recente intervista in cui ci aveva parlato anche sul suo approccio al cantato (raccontandoci anche quanto ama “spendersi” durante le performance vocali di live e non solo, e quanta cura è necessaria per uno strumento delicato come la voce). Anche “chitarristicamente parlando” abbiamo riconosciuto alcuni aspetti riconducibili a quello che Mark aveva voluto accennarci per ciò che concerne le nuove tecniche che sta esplorando ed approfondendo in questo periodo (ad esempio lavorando su forme espressive vicine all’Hybryd Picking): in un paio di brani è sembrato di poter apprezzare già adesso questi nuovi elementi (soprattutto negli arrangiamenti), che rappresentano sicuramente un valido arricchimento per i brani stessi.
Dal punto di vista fisionomico, tutto il lavoro si attesta su un registro molto immediato, le tracce difficilmente superano i 5 minuti di ascolto e spesso è facile riscontrare brani molto granitici (“Catching Fire”, “Betray Me”), brani che ammiccano ad elementi stilistici vicini a quelli degli altri progetti di “Mark (The Cage”, “Rising Storm”, “Never Wrong” insieme ad alcune “quasi-ballad” tra gli episodi più interessanti del disco), brani molto serrati (“My Last Mistake”, “Once Dead”) e brani che potrebbero essere considerati delle “ballad in incognito” (la title track “Dust”, “Tore My Heart Out”, “Unable to See”, tra gli episodi più introspettivi e quasi commoventi del disco, in cui Mark ci regala delle gemme di rara bellezza, in cui sembra quasi parlare con il cuore in mano).
In conclusione, se amate una musica che possa arrivare a toccarvi il cuore, passando per un certo tipo di rock alternative corroborato da suoni granitici di Mark, non potete perdervi per alcun motivo questo capolavoro, che segna un importante passaggio stilistico ed espressivo nella carriera del musicista americano, ma anche qualora siate solo appassionati di musica rock ottimamente suonata, cantata e prodotta, di sicuro, in questo “Dust” troverete “pane per i vostri denti”, o meglio “musica (di qualità) per le vostre orecchie”.
Traklist:
- My Last Mistake
- The Cage
- Once Dead
- Dust
- Betray Me
- Tore My Heart Out
- Catching Fire
- Never Wrong
- Rising Storm
- Unable To See
TREMONTI lineup:
- Mark Tremonti – Lead Vocals, Lead And Rhythm Guitar
- Eric Friedman – Rhythm Guitar, Backing Vocals
- Garrett Whitlock – Drums
- Wolfgang Van Halen – Bass Guitar, Backing Vocals