LORNA SHORE: Dancing In A Sea Of Fire

LORNA SHORE – “Pain Remains”
• (2022 – Century Media Records) •

I Lorna Shore sono una band attorno a cui in questo ultimo anno si è scaturito un’ interesse enorme.

Sin dalla pubblicazione del loro singolo “To The Hellfire” nel 2021 e l’ingresso nella formazione del talentuoso vocalist Will Ramos infatti, la band è stata costantemente sulla bocca di buona parte dei metalheads attorno al globo.

Anche il sottoscritto, da sempre amante di band quali Dimmu Borgir, Septic Flesh e Fleshgod Apocalyspe noti per la loro proposta che vede l’utilizzo di un sapiente mix tra elementi estremi e altri più sinfonici, non è rimasto indifferente alla band americana.

Il sound dei Lorna Shore personalmente mi ha colpito sotto ogni punto di vista, partendo dal songwriting, dalla qualità della produzione, dall’incredibile densità sonora creata dal gruppo, dalla bellezza e solennità delle orchestrazioni.

Non per ultimo ovviamente dalle parti vocali di Will Ramos, in grado di offrire un growl incredibilmente vario tanto da passare da sezioni in scream alla Shagrath (Dimmu Borgir), ad altre in cui il suo suono è totalmente gutturale e di tonalità bassissima, più in linea con quanto ascoltato su un disco dei Cannibal Corpse tanto per rendere l’idea.

La composizione cerca di essere anche piuttosto ambiziosa a tratti, come si evince dalla lunga suite che porta il nome del disco (“Pain Remains”) divisa in tre tracce; l’opera complessiva dalla durata di circa venti minuti è la summa di tutto ciò che la band riesce ad esprimere tramite la sua musica e in questo caso lo fa nella maniera più emozionale e d’impatto possibile.

Tutta la disperazione che traspare da questa suite viene recapitata all’ascoltatore attraverso l’uso di blast-beat, ritmiche al cardiopalma, stacchi sinfonici e breakdown devastanti.

Un viaggio emotivamente davvero intenso che racconta della tragedia della perdita di una persona cara e della conseguente e vorticosa discesa vero l’oblio del protagonista che alla fine del brano arriverà a togliersi la vita.

Un pezzo intenso da tutti i punti di vista che incarna perfettamente la musica dei Lorna Shore, un deathcore violento e brutale ma che sa essere sofisticato e solenne nei suoi momenti più sinfonici.

L’opener del platter “Welcome Back O’ Sleeping Dreamer” è il fulgido esempio di quanto la presenza del lato sinfonico della band sia incredibilmente ben amalgamato al resto, con un inizio dal sapore quasi goticheggiante che lascia spazio ad un pezzo che a tratti sembra avvicinarsi più al black metal sinfonico che ad altro, ricordandomi tantissimo un disco come “Puritanical Euphoric Misanthropia” dei Dimmu Borgir e ampliando a mille le sue parti più estreme.

A proposito dell’associazione con “Puritanical”, è incredibile quanto l’intermezzo parlato di questo pezzo (l’opener “Welcome back…”) assomigli tantissimo a livello di effetti vocali e voce utilizzata a quello di “Kings Of The Carnival Creation” degli stessi Dimmu Borgir proprio dall’album appena menzionato.

Da segnalare su questo brano, come sulla maggior parte dei pezzi nella tracklist, la presenza svariati assoli di chitarra, velocissimi e iper-virtuosi, che arricchiscono la proposta e la rendono ancora più affascinante e pungente- lo shredding al cardiopalma sul finale del pezzo di apertura accompagnato dallo scream incessante di Ramos e il muro di suono creato dal gruppo è l’emblema di quanto intensa la proposta dei Lorna Shore possa diventare.

Altra caratteristica fondamentale del sound di questa band ed un elemento che io trovo allo stesso tempo un pochino abusato su questo disco è la presenza di quei breakdown con voce iper-grutturale di Ramos, in cui lui stesso davvero sembra volerci mostrare a tutti i costi la sua capacità di spaziare da un estremo all’altro dello spettro vocale del suo growl, in questo caso esprimendo la parte più gutturale, cavernosa e disturbante di esso- a tratti sembra davvero di sentire il grugnito di un maiale e credo che nessuna descrizione sia più efficace per descriverlo.

In ogni caso in quasi tutti pezzi è presente una di queste sezioni, solitamente poste verso la fine delle composizioni e che a lungo andare diventano sin troppo prevedibili oltre che non proprio di mio gusto personalmente parlando.

Non a caso, credo che l’unico difetto che si possa trovare in un disco come questo che straborda di qualità in tutto e per tutto, sia per quanto mi riguarda la ripetitività eccessiva di alcune strutture ed alcuni elementi.

Il trittico “Wall of sound+blast-beat/ stacco sinfonico/ breakdown (non necessariamente in quest’ordine) diventa a lungo andare e soprattutto per delle tracce dal minutaggio piuttosto importante come si ha in “Pain Remains”, un pochino stucchevole e prevedibile mano mano che ci si addentra nella tracklist, rendendo il disco nel suo complesso un pochino pesante da digerire tutto in un unico “pasto”.

Questo è veramente l’unico aspetto negativo che riesco a trovare in un album dove ogni singolo elemento della band, dal frontman al batterista, offrono una prestazione encomiabile per un lavoro che sprizza qualità da tutti i pori senza lasciare da parte il lato più emotivo delle composizioni.

L’intro “classicheggiante” di “Into The Earth” combinato al suo incessante martellamento sonoro oppure gli elementi più etnici con tanto di cori della evocativa e solenne “SunEater”, sono uno dei tantissimi aspetti assolutamente riusciti di questo album a cui piace variare spesso da un sound più tipicamente deathcore ad uno più in linea con il black metal come in “Apotheosis” in cui si ha l’impressione davvero di essere entrato all’interno di un armageddon sonoro senza uscita.

Il fiore all’occhiello di questo disco però, come credo di aver già brevemente accennato, sono le orchestrazione e gli elementi sinfonici che da subito mi hanno colpito e rapito per la loro ricchezza e varietà- si passa da sezioni più gotiche che non sfigurerebbero in un disco dei Cradle Of Filth ad altre più cupe e minacciose ad altre ancora dal sapore più etnico e solare.

Encomiabile poi il modo in cui sono state mixate e come si sposino alla grande con gli elementi più estremi del sound della band senza seppellire i restanti strumenti. Un piccolo prodigio di mixaggio e produzione per quanto mi riguarda.

In conclusione posso dire che “Pain Remains” si merita davvero tutto l’hype che sta circondando la sua uscita. Se siete amanti di tutti quei gruppi come Septic Flesh, Fleshgod Apocalypse o Dimmu Borgir che mischiano il metal estremo con un lato prettamente sinfonico questo disco dei Lorna Shore risulta davvero un must per voi.

Un disco ricchissimo e complesso che porta quanto fatto dai gruppi sopracitati verso una direzione ancora più intensa ed estrema avvalendosi di un sound più improntato sul Deathcore ma che comunque ama spesso spaziare in territori che hanno più a che fare col Black Metal ed altro ancora.

La ricercatezza e la solennità delle orchestrazione, le sfuriate in blast-beat, l’ipertecnicismo e lo shredding delle chitarre, le parti vocali di Ramos- tutto è espresso ai massimi livelli nonostante ci sia per quanto mi riguarda una eccessiva prolissità nel minutaggio di alcuni brani e anche talvolta una certa prevedibilità delle strutture dei pezzi che tendono a mio avviso nell’ abuso di alcuni elementi come già accennato prima. Per il resto sicuramente una delle migliori sorprese dell’anno!

VOTO: 8/10

TRACKLIST:

  1. Welcome Back O’ Sleeping Dreamer
  2. Into The Earth
  3. SunEater
  4. Cursed To Die
  5. Souless Existence
  6. Apotheosis
  7. Wrath
  8. Pain Remains I: Dancing Like Flames
  9. Pain Remains II: After All I’ve Done, I’ll Dissappear
  10. Pain Remains III: In A Sea Of Fire

Lorna Shore line up:

  • Will Ramos – Vocals
  • Adam De Micco – Guitars
  • Andrew O’Connor – Guitars
  • Michael Yager – Bass
  • Austin Archey- Drums