HEATHEN – Blinded by Thrash!


HEATHEN – “Empire Of The Blind”
• (2020 – Nuclear Blast) •

 

In tempi antichi si pensava che i ciechi, privi della vista, fossero stati risarciti dagli dèi con la capacità di vedere il futuro. Si penso al mito di Tiresia, raccontato da Ovidio nella sua opera “Metamorfosi” e da Stazio nella sua “Tebaide”(e non da ultimo da Andrea Camilleri nel suo ultimo spettacolo “Conversazione con Tiresia”). Al giorno d’oggi però quando diciamo a qualcuno che è cieco è perché non vede una realtà che si dipana davanti ai suoi occhi. Ora, i membri degli Heathen ci vedono tutti benissimo, anche se qualcuno non dubitiamo porti gli occhiali dato che si tratta di uomini di mezza età, e non hanno di certo poteri divinatori, ma da attenti e critici osservatori del mondo che ci circonda hanno scritto delle canzoni che quasi hanno previsto quello che sta accadendo in questi mesi: il mondo paralizzato e impaurito da un male strisciante e diffuso, una piaga.
Giunto al quarto sigillo discografico in oltre trent’anni, a dieci di distanza dall’ultimo e ottimo “The Evolution Of Chaos” che era stato salutato come un grande ritorno sulla scena metal mondiale dopo il silenzio lungo due decenni che ha seguito l’opus magnum dell’abile quintetto della Bay Area, “Victims Of Deception” del 1991, l’act californiano non ha ovviamente indovinato con un anno di anticipo che il 2020 sarebbe stato segnato dal Coronavirus ma si conferma autore di testi maturi che affrontano tematiche sociali e personali con un tono più riflessivo che ‘demagogico’, senza per questo incarcerare l’energia del genere che propongono nello spessore della ragionamento.
Il lungo intervallo tra il nuovo album, dal titolo “Empire Of The Blind”, e il suo predecessore è stato dovuto non a blocchi creativi da parte degli autori dei brani della band, ma dai molti impegni extra-Heathen che hanno ostacolato la ricerca dell’ispirazione e la scrittura di un disco che voleva recuperare l’immediatezza e la brevità dell’esordio “Breaking The Silence” senza però perdere quelle melodie più epiche che hanno reso unico e inimitabile “VoD” e caratterizzato “The Evolution…” (infatti “Empire” dura una ventina di minuti in meno del disco precedente). Entrambi i chitarristi della band, il fondatore Lee Altus e Kragen Lum (altro veterano della Bay Area, in formazione dal 2007), sono stati infatti impegnati con gli Exodus l’uno per l’incisione e la registrazione del disco che ha visto il secondo ritorno di Steve “Zetro” Souza “Blood In, Blood Out”, e il secondo per sostituire Gary Holt, entrato in pianta stabile negli Slayer al posto di Jeff Hanneman, nei due tour promozionali.
Dopo tutto questo, ci siamo. Il disco in uscita il 18 settembre, ci illustra come questo “impero dei ciechi” abbia smesso di brillare e adesso sia ridotto a rovine immerse in una sottile nebbia rossa di struggente desolazione. L’impero prometteva progresso, benessere e comodità a tutti ma esigeva un prezzo troppo alto per continuare a reggersi. La crisi economica ha esacerbato le diseguaglianze e questo ha comportato l’allargamento della frattura politica e sociale all’interno delle comunità, sempre più in conflitto (etnico o economico che fosse) tra di loro, mentre la diffusione capillare dei social network ha permesso la circolazione incontrollata di informazioni poco attendibili, teorie del complotto che raccolgono sempre più seguaci, parole d’odio e intolleranza rimaste impunite che hanno alimentato un rancore sociale quasi fuori controllo. Così stanno le cose e gli Heathen ce lo sbattono in faccia a suon di riff.
Una intro strumentale melodica e dolente, “This Rotting Sphere”, aperta dolcemente dalle due chitarre ci dipinge subito il paesaggio postapocalittico rimasto dopo il crollo dell’‘impero’, fatto di pura desolazione e silenzio opprimente. Il crescendo, che vede l’ingresso del basso e della batteria, indurisce l’atmosfera con solennità per poi sfociare nella prima vera canzone di “Empire Of The Blind”, la veloce e tirata “The Blight”. Un brano dov’è la potenza a farla da padrona, variata (ma non per questo alleggerita) dal ritornello più arioso ed epico dove la voce White, nelle strofe sporca e aggressiva, mostra le sue sfumature più melodiche e dense di pathos. Un treno merci in corsa che rallenta solo nell’intermezzo centrale, dove si inseriscono le backing vocals a rinforzare la sezione strumentale più cadenzata e pesante. La formula dell’opener si ripete nella title-track , poi con il terzetto successivo la velocità lascia spazio al lato più spesso e pachidermico del sound dei nostri. “Dead And Gone” ha inizio che ricorda i Metallica di “And Justice For All”, fatto di riff secchi e staccati che trascinano un tempo medio a sostegno una prova vocale scura e minacciosa, col ritornello che si fa meno duro e dai suoi più dilatati. “Sun In My Hand” è thrash moderno che richiama più il periodo a cavallo tra la fine degli anni Novanta e i primi Duemila che l’old school, ma non perde un’oncia di forza fisica ‘sonora’ e si tinge di varietà col chugging delle chitarre tipico del genere che viaggia insieme ad arpeggi più delicati e aggraziati in sintonia col mood del brano che alterna un’attitudine combattiva a un’anima più intimista. Un rifframa poderoso – di nuovo di stampo moderno – come una mannaia dalla lama molto spessa dà il via a “Blood To Be Let”, uptempo dinamico ma non tiratissimo,classico brano di quelli che dal vivo diventa un trascinante singalong, con la voce cruda e arrogante del singer nel ritornello si colora di nuovo di melodia. Un leggero aumento dei battiti è la pulsazione accelerata costante di “In Black”, tempo medio adrenalinico dove scorazzano riff tesi e taglienti e sezioni di doppia cassa che accentuano l’assalto (auricolare) frontale. I toni si fanno dolceamari e sofferti in “Shrine Of Apathy”, power ballad in cui White tira fuori il lato più sentimentale e profondo del brano. Nota curiosa, l’inizio e il tema ricorrente, in maniera carsica, è molto simile a “Shadow In The Black” dei Manilla Road (dal disco “The Deluge” del 1986). Il pezzo che segue è l’unico sottotono della tracklist, “Devour” infatti – un attacco chiunque vuole imporre una fede, politica o religiosa (soprattutto la seconda è stata spesso bersaglio di critiche da parte del gruppo), con la promessa di miracoli estorcendo la fiducia a chi è più suggestionabile – ci scaglia contro un ritornello coinvolgente, ma il resto del brano suona come ‘già sentito’. Non che i nostri debbano reinventare il genere, ma il pezzo che segue mette in mostra le qualità compositive delle due asce. “A Fine Red Mist” è una strumentale dalla doppia identità, possiede la melodia dell’heavy classico e l’alta pressione del thrash, dal suono distorto e compresso che non rinuncia ad aperture melodiche pregevoli che ampliano lo spettro delle emozioni e delle sensazioni che si vogliono esprimere in musica. Nelle sezioni soliste s’intrecciano Lum, più vicino a una sensibilità classica, e Altus, che sfoggia un’anima virtuosisticamente metal.
Tempo di pedal to the metal again! Ecco “The Gods Divide”, brano di thrash ortodosso, nervoso nel riffing chirurgico e lasciato corriere a briglia. In chiusura dell’album è posta l’outro “Monument To Ruin” che richiama l’atmosfera di “This Rotting Sphere”, mostrandoci quello che resta della civiltà caduta sotto il suo stesso peso: un teschio avvolto dalla sottile nebbia rossa.
Dopo dieci di silenzio forse ci si sarebbe potuti aspettare da un gruppo del calibro degli Heathen un lavoro più coraggioso e sfidante, per sé e per gli ascoltatori, invece la strada scelta è stata quella di una certa semplicità. Una decisione che premia, perché con l’aumentare degli ascolti “Empire Of The Blind” si apprezza proprio per questa sua fruibilità, mentre un disco ‘cervellotico’ sarebbe potuto essere persino un rischio per i nostri qualora non avessero saputo mantenersi sui livelli del precedente. Le coordinate dell’album invece sono chiare, suonare thrash senza snaturarsi diventando banali né lanciarsi in un processo di complessità e stratificazione fine a se stesso, e la band le segue con perizia e attenzione, costruendo brani che hanno una loro identità come singole canzoni e come prodotti artistici di matrice Heathen. Bentornati!

VOTO: 7,5/10

Tracklist:

  1. This Rotting Sphere
  2. The Blight
  3. Empire Of The Blind
  4. Dead And Gone
  5. Sun In My Hand
  6. Blood To Be Let
  7. In Black
  8. Shrine Of Apathy
  9. Devour
  10. A Fine Red Mist
  11. The Gods Divide
  12. Monument To Ruin

HEATHEN line-up:

  • David R. White – Vocals
  • Lee Altus – Guitars
  • Kragen Lum – Guitars
  • Jason Mirza – Bass
  • Jim DeMaria – Drums