TRACER: INTERVISTA ESCLUSIVA A JETT HEYSEN HICKS •
La sala fumatori dell’Alcatraz, con le sue sedie di pelle nera, ospita la mia intervista a Jett Hicks, bassista dei Tracer. La band, formatasi ad Adelaide, è ora in tour con gli Apocalyptica, per far conoscere al mondo il secondo album prodotto, “Water For Thirsty Dogs”.
Jett è giovane, non supera la trentina: mi accoglie con una stretta di mano e un sorriso cordiale. Non ha le sembianze che ci si aspetterebbe da un australiano: capelli scuri e ricci, sembra più un ragazzo di queste parti, almeno finché non esordisce con un inglese strettissimo.
Ciao, Jett. Prima di tutto vorrei ringraziarti per essere qui e concedermi questa intervista.
Nessun problema, Luca. È un piacere.
Allora, tu sei nato in Australia, e ora ti trovi qui, dall’altra parte del mondo. Eri già stato in Italia prima di oggi?
Sì, ero già stato in Italia un paio di volte. La prima, ricordo, fu per la mia laurea in musica (equivalente del nostro conservatorio, n.d.r.). Venni qui per studiare Stradivari e gli altri grandi maestri artigiani italiani, che produssero alcuni strumenti straordinari.
E ti piace l’Italia?
Assolutamente si! É un paese meraviglioso. In Italia è sempre facile trovare gente con cui divertirsi, e gli italiani hanno uno stile di vita che adoro. Mi piace il modo in cui voi italiani date importanza alla cultura del cibo e della famiglia; è qualcosa che in Australia, di tanto in tanto, ci dimentichiamo.
Una volta concluso questa tourneé, so che avrete un vostro tour personale in Inghilterra.
Sì, è vero. Inizieremo alla fine di quest’anno, una manciata di tappe inglesi, poi torneremo per qualche settimana in Australia. A febbraio dell’anno prossimo, invece, avremo un vero e proprio headlining tour, il nostro primo show come band principale. Sarà fantastico!
Il tour 2016 promuoverà “Water For Thirsty Dogs”?
Sì, è corretto. Quest’album è importante per noi perché ci da finalmente la possibilità di vivere un tour da protagonisti.
Parlando proprio dell’album: è un lavoro molto maturo, decisamente più completo del vostro precedente lavoro. È ricco di influenze provenienti dal grunge e dal rock classico, ma vorrei che fossi tu a dirmi quali artisti vi hanno influenzato maggiormente durante la vostra carriera.
Sono molti gli artisti ad averci ispirato, ma la maggior ispirazione, almeno personalmente, l’ho ottenuta nei dieci anni in cui io, Andre e Michael (gli altri due componenti della band, n.d.r.) abbiamo girato il mondo in tour. È la gente ad ispirarmi, le persone che incontro, i posti che vedo. Cerchiamo di distinguerci dalle altre band, per non essere etichettati come “simili a…”, e di scrivere testi che attingono ad esperienze dirette.
La vostra è una band giovane, che però si porta sulle spalle la tradizione del grande rock classico; pensi che il vostro sia un genere che avrà ancora successo, in futuro, o verrà soppiantato da altri stili musicali più recenti?
Io, personalmente… (indugia). Io credo che… bravo, mi hai colto alla sprovvista, questa domanda era del tutto inaspettata! (ride). Io spero che il rock abbia un futuro, perché è la musica che io amo: Led Zeppelin, The Beatles, Jimi Hendrix, sono musicisti straordinari che hanno segnato un’epoca. Per sopravvivere, però, la musica rock deve guardare oltre i grandi miti del passato: puntare al futuro senza voltarsi troppo, perché se indugia su ciò che è stato verrà sorpassata e distrutta dagli altri generi musicali. Bisogna cercare di essere originali e creare qualcosa di nuovo, così come i Led Zeppelin fecero a loro tempo, facendo proprio il blues esistente e rivoluzionandolo completamente.
Quando è nata questa tua grande passione per il rock?
Quand’ero ancora nel ventre di mia madre, credo (ride). Mio padre le metteva le cuffie sullo stomaco e faceva girare i dischi dei Rolling Stones. La prima band che ho sentito davvero come mia, tuttavia, furono i Queen. Pensavo: “Questi tizi suonano come degli dei!”. Non credevo neppure fossero umani, perché riuscivano a creare cose così speciali! Poi, però, ascoltai i Metallica, e pensai: “Oh, forse posso suonare anche io!” (ride fragorosamente). Scherzi a parte, quando avevo diciassette anni, come molti altri adolescenti, ero rabbioso e infuriato con il mondo, e non sarei qui se non fosse per la musica dei Metallica. Promisi a me stesso che avrei votato la mia vita alla musica, e pensai che se la mia musica fosse riuscita a salvare la vita di qualcuno così come i Metallica avevano salvato la mia, allora ne sarebbe valsa la pena. Così ho cominciato a suonare.
Alla fine, ce l’hai fatta. Sei una rockstar, adesso (risate generali). Hai raggiunto il sogno di molti ragazzi, ma vorrei sapere: in che modo la musica ha cambiato la tua vita sul piano pratico e quotidiano?
Suono in modo serio da quando ho diciannove anni, e ne ho molti più di diciannove, adesso (ride). Ho vissuto questa vita per molto tempo, e mi sono abituato ai ritmi dei tour fin da subito. Essere in tour significa essere lontani dalla propria casa per la maggior parte dell’anno, senza alcun punto d’appoggio sicuro. In questo momento siamo via da casa da quasi dieci mesi; è una bella sfida. É molto difficile relazionarsi alla gente, perciò si tende a costruirsi un gruppo di persone fidate: la band e le altre persone che ci seguono in tour. Quando si torna a casa dopo tanto tempo, nella tua minuscola città natale, è molto difficile reintegrarsi con i tuoi vecchi amici, perché con la tua band e la tua “tour family” hai sviluppato un senso dell’umorismo particolare, una complicità unica, che chi sta all’esterno non può capire. Ci si può sentire un po’ fuori posto anche a casa, e questa è la parte negativa. Ma c’è una parte positiva, che è meravigliosa: stando in tour ci si crea legami di amicizia in tutto il mondo. Ora, quando vengo a Milano, incontro ragazzi conosciuti nei tour precedenti, e così a Londra, Berlino, Los Angeles. Quindi, in conclusione, anche se si perde un po’ la connessione con la propria patria, si ha l’occasione di conoscere un sacco di persone stupende.
Quindi tu e il resto della band trascorrete molto tempo insieme anche al di fuori del tour?
Sì, assolutamente. Passiamo la maggior parte del tempo insieme, e credo che la maggior parte delle band lo faccia. Tutto il tempo che trascorriamo in tour fa sì che Andre e Michael siano gli unici in grado di comprendermi davvero, e viceversa.
Altre band intervistate, invece, hanno detto di non frequentarsi al di fuori dei tour e delle registrazioni, per non…
… per non uccidersi l’uno con l’altro? (risate generali) Lo capisco, anche io a volte ho voglia di rimanere da solo. Mi piace la mia compagnia, e di tanto in tanto è necessario staccare un po’, rilassarsi e allentare la pressione. Però, in generale, io Andre e Michael abbiamo un bellissimo rapporto.
Parlando della vostra musica: fra le vostre canzoni, ce n’è una che preferisci?
Dipende dal momento e dal contesto. Ci sono alcune canzoni che preferisco suonare live, altre che sono state molto divertenti da scrivere o da registrare. “Water For Thirsty Dogs”, ad esempio, è fantastica da suonare live, mentre “Devil Ride” è dannatamente faticosa. Come persone andiamo molto d’accordo, ma quando si tratta di suonare io e i ragazzi ci scanniamo (ride), ci arrabbiamo moltissimo, perché ognuno è convinto che la musica che ha nella mente sia la migliore, e ci si mette le mani nei capelli e si urla: “Questa idea è geniale, semplicemente perfetta! Come fai a non capirlo?”. Ma si tratta soltanto di litigi temporanei, legati soltanto alla musica. Non c’è niente di personale, e una volta usciti dallo studio di registrazione è acqua passata. Abbiamo grande rispetto l’uno dell’altro. Scusa, sto divagando. Tornando alla tua domanda, preferisco le canzoni semplici, con accordi lunghi e d’impatto, così non devo affaticarmi troppo a suonare (ride). Scusa, è stata una risposta un po’ fuorviante alla tua domanda, ma spero di essere stato chiaro.
Nessun problema. Adesso qualche domanda più tipica: che programmi avete per il vostro futuro? C’è già qualche idea nel cassetto per il prossimo album?
Quando questo tour finirà e torneremo in Australia, per qualche tempo i Tracer non produrranno nulla, e io mi dedicherò ad un paio di altre band minori con cui suono. I Tracer torneranno insieme per il tour da headliner; suoneremo anche ad alcuni festival, in giugno, e poi cercheremo di avere un attimo di pausa per registrare qualcosa di nuovo. È una faticaccia (ride).
Grazie per l’intervista, Jett. Sei stato molto disponibile ed esaustivo. Faresti un saluto ai nostri lettori?
Certo! Un saluto a tutti i fan di Metalrock da Jett Hicks e dai Tracer!