INTERVISTA ESCLUSIVA A VINCENZO GRIECO •
Vincenzo Grieco è una brava persona ed è una persona consapevole. Partiamo da questo punto. Lo conosco da tanti anni (più di venti) e sono quasi certo di non avergli mai sentito nemmeno sussurrare una parola cattiva o irriguardosa verso alcun suo collega chitarrista, e fidatevi che in questo ambiente è una cosa più unica che rara.
Una volta fatta questa doverosa precisazione mi sembra giusto presentare Vincenzo da un punto di vista artistico. Nel corso della sua carriera ventennale da professionista è noto agli appassionati dello strumento soprattutto in veste di didatta, anche visti gli ottimi risultati, di alcuni suoi allievi e allieve; tuttavia, anche se con estrema parsimonia, il chitarrista romano ci ha omaggiato ogni tanto di alcune sue composizioni originali, piccole chicche strumentali sempre ben dosate e calibrate.
Benché dotato di un bagaglio tecnico ragguardevole, Vincenzo ha sempre preferito mettere le note al servizio della creatività, piuttosto che dello shredding fine a se stesso, creando un mondo fatto di temi ariosi e melodici, in bilico tra alcune cose del Gary Moore anni ’80 e del meno noto Jan Cyrka.
Quindi ecco che finalmente si decide scrivere il tanto agognato disco d’esordio (in uscita il 10 maggio, a breve la recensione), dove a sorpresa (relativamente) troviamo una sola canzone strumentale sui dieci brani che compongono l’album. Come dicevamo la creatività e la melodia prima di tutto!
Ma lasciamo la parola al diretto interessato. Buona lettura.
Ciao Vincenzo benvenuto su metalforceforce.it e sulla rubrica six strings killers, come stai?
VINCENZO – Bene Frank! Grazie dello spazio concessomi per poter raccontare un po’ di me.
A breve (il 10 maggio nda) uscirà il tuo album di debutto da solista: “Misleading lights of town”. Un lavoro che corona oltre vent’anni di carriera. Vuoi offrirci una panoramica di questo lavoro?
VINCENZO – Il disco è una sorta di diario autobiografico della mia vita di musicista. I brani cantanti sono 9 e uno solo è strumentale, con dei testi che ha scritto mia moglie Sara Facciolo su mia indicazione. Racconta, sia compositivamente, che come testi la storia dei miei primi 20 anni di lavoro da musicista.
Benché, come molti tuoi colleghi, provieni dalla scuola dei guitar heroes anni ’80 nel tuo disco hai preferito porre l’accento sulla composizione in sé, piuttosto che su guitar tricks e i licks spettacolari. Chiaramente una lunga carriera dedicata all’insegnamento e il continuo aggiornamento degli stili e dei linguaggi musicali ha avuto il suo peso. Parliamone.
VINCENZO – La scelta di scrivere canzoni è nata dal fatto che mano mano che passava il tempo mi rendevo conto che in macchina non ascoltavo più dischi di chitarristi. Anzi, ascoltavo tantissimo Joe Bonamassa, grandissimo chitarrista, che però nei suoi lavori scriveva canzoni godibilissime con parti di chitarra molto belle. Io ho cercato di seguire quel filone, facendo canzoni in cui suonavo le parti di chitarra.
Riallacciamoci al discorso precedente e parliamo di quanto sia stato importante per te, a livello umano, etico e musicale la tua grande attività di didatta.
VINCENZO – Come ho già detto il mio disco è una sorta di biografia dei miei primi 20 anni da musicista, ma io ho iniziato molto presto a suonare, quasi 35 anni fa. Questo vuol dire che prima sono stato adolescente, allievo e studente di musica e poi, dopo un lungo percorso, sono diventato un didatta. Ho cercato di non dimenticare mai quello che ero da studente, della mia necessità di avere una guida che mi desse sicurezza, che mantenesse il timone nei momenti di burrasca. Chi cresce nella musica spesso ha mancanza di porti sicuri, e cerca di capire se questa strada potrà dargli certezza e soddisfazione. Ecco, io da didatta cerco di mantenere insieme tutti questi elementi, e non posso farne a meno in generale nella mia vita da musicista.
Chitarra, musica e social media: spara a ruota libera!
VINCENZO – Discorso interessante e rischioso. Si rischia di essere o retorici o”babbi”. Diciamo che l’evoluzione tecnica della chitarra è impressionante. Su youtube trovi bambini asiatici in grado di demolire le tue sicurezze tecniche. E’ vero che dopo averne visti 3 di seguito ti ricordi che ti piace il disco di David Lee Roth con Steve Vai alla chitarra, quindi che avere tecnica non vuol dire essere artista. Fra l’altro ho sentito moltissimi chitarristi davvero impressionanti scrivere brani che neanche Fausto Papetti avrebbe avuto il coraggio di realizzare, quindi torno a dire che è la mente del musicista a muovere le idee e le dita, e in un momento d’inflazione di ipertecnica, bisogna trovare dei contenuti di spessore. Riguardo ai social rischio invece di sembrare ipocrita: uso moltissimo i social per far conoscere il mio lavoro da didatta e musicista, ma al tempo stesso li odio. Mi sento però costretto a comportarmi così: se scegli di fare un disco, di investire, di chiamare tanti colleghi a suonarci, allora vuoi che venga ascoltato e al momento sei costretto a pubblicizzarlo con post su instagram, facebook o altro. Quando ti siedi al tavolo di gioco, devi stare alle sue regole.
Torniamo su argomenti più attinenti al tuo disco e al tuo stile. Domanda evergreen: le tue influenze principali.
VINCENZO – Le mie influenze vanno dall’hard rock dei Whitesnake, Mr.Big, Deep Purple, Led Zeppelin fino al blues rock di Hendrix, Vaughan e Joe Bonamassa. Sicuramente in alcune song si sente l’influenza di Bon Jovi e Aerosmith (sopratutto nella ballad) e il funk rock degli Xxtreme. Chitarristicamente forse i più influenti nell’ultimo periodo sono Richie Kotzen e Steve Morse.
Altro evergreen. Strumentazione: cosa usi?
VINCENZO – Nel disco ho usato come amplificatori quasi sempre una Jcm 800 Marshall dual Channel e un fender Twin. Come chitarre ho usato, nei brani Hendrixiani, una Stratocaster 74, una Stratocaster reissue ’52 con pick up artigianali fatti da Rhino Pick Up e una Telecaster Reissue ’52, mentre nei brani più rock ho usato una gibson Les Paul Traditional, una Firebird Gibson e una Sg sempre Gibson. Come acustica ho usato una Martin j40.
Non si vive di sola musica (spesso in senso letterale). Quanto è importante da un punto di vista di crescita personale e artistica lo scambio culturale con altre discipline: letteratura, pittura, cinema…?
VINCENZO – Importantissima ogni forma d’arte nella storia di un musicista. In famiglia la “letterata” è mia moglie Sara, e senza di lei non avrei mai potuto esprimere quello che avrei voluto nel disco. Per quanto mi riguarda il cinema, il videomaking e la fotografia sono tutti elementi che mi aiutano a “descrivere” la mia musica. Quasi sempre immagino le scene di un video quando scrivo un brano. Anche la copertina del disco, ad opera di Giorgia Tino, è stato un lavoro di ricerca insieme a lei fino a trovare l’esatta immagine che volevo.
Domanda che non mi stanco mai di porre: internet è stato un bene o un male per il mondo della musica?
VINCENZO – Un male: lo dico senza ne se ne ma. Io sono un promotore della tecnologia che può alleggerire, semplificare e stimolare la creatività, ma internet ha generato due problemi gravissimi. Ha distrutto il valore della musica originale, creando una diffusione “tanto al Kg” dei dischi, ed ha dato voce a troppe persone che non ha nessuna competenza di imporsi, ha sdoganato l’ignoranza (non parlo solo di musica) , la violenza verbale, la gogna mediatica, la rabbia e l’arroganza. Sì ok, puoi farti sentire da Youtube anche in Giappone, ma il gioco non vale assolutamente la candela. I primi tempi sembrava anche a me una cosa fighissima, ma oggi posso dire che presi una toppa clamorosa.
Ora l’angolo dei consigli ai più giovani: da musicista professionista ormai di lungo corso, che suggerimenti ti senti di poter dare a un ragazzo (o una ragazza) che vorrebbe intraprendere questo mestiere?
VINCENZO – Complicato dare risposte di questo genere, ricordo che i consigli che mi davano all’epoca erano già vecchi per quel momento. Se io dicessi di studiare armonia o lettura musicale, o tutti gli stili e compagnia dicendo, direi cose che non necessariamente servono oggi (dove la chitarra ha ruoli sempre più minimali nel pop) per vivere di musica. Io consiglio di studiare quello che si ama, quello che non ti fa uscire nelle giornate di sole ma ti tiene seduto sulla sedia, quello che non puoi fare a meno di fare e che se smetti ti manca come l’ossigeno, quello che se prendi una batosta ti fa rialzare lentamente e ti fa affrontare la prossima. Suggerisco solo determinazione, anzi Passion Grace e Fire.
Cosa ne pensi dell’attuale panorama nazionale e anche locale, quando si parla di musica rock?
VINCENZO – Se per Rock intendiamo quello che intendiamo noi posso dirti che è molto povero, ci sono ottime band ma sempre di meno e sempre meno posti dove suonare. Se poi parliamo dell’indie…beh allora lasciamo perdere (d’accordo con te, tra l’altro io sono rimasto indietro e per me il termine indie serviva a identificare roba tipo The Jesus & Mary Chain o Manic Street Preachers, non ‘sta robaccia tipo The Giornalisti… nda).
L’ ultima domanda te la puoi gestire come ti pare. Come diceva Marzullo (era lui?): fatti una domanda e datti una risposta.
VINCENZO – Intanto Frank colgo l’occasione per ringraziarti dello spazio.Poi mi domando cosa farò dopo questo disco. Beh mi rispondo che vorrei continuare a fare dischi rock e hard rock, che strizzano l’occhio agli anni 80’/90’. Perché mi rendo conto che devo essere onesto con me stesso e fare quello che mi piace e sento mio. Ho 43 anni e sono cresciuto in quel mondo, non critico chi sa essere più moderno (anzi forse lo invidio), ma non posso fare quello che non mi sento di essere. Keep on Rockin’!