MOONLIGHT HAZE: Memento audere semper

MOONLIGHT HAZE: INTERVISTA ESCLUSIVA ALLA BAND •

Sono una delle realtà italiane più interessanti dell’ultimo lustro: loro sono i Moonlight Haze, la “nuova” band di Chiara Tricarico e Giulio Capone, entrambi ex- Temperance che in questo 2022 sono tornati alla luce della ribalta con il loro terzo album in studio, “Animus”. Un disco, pubblicato sotto l’egida di Scarlet Records, che si rivolge ai propri ascoltatori con un unico ed importantissimo messaggio: bisogna sempre avere il coraggio di andare avanti e di sfruttare al meglio la propria forza di volontà. In occasione dell’edizione appena conclusasi del Metal For Emergency, abbiamo incontrato per voi i due mastermind del gruppo symphonic metal italiano. Buona lettura!

Ciao ragazzi, benvenuti su Metalforce.it. Per noi è un grandissimo piacere e onore conoscervi. Oggi ci troviamo nella cornice del Metal For Emergency, dove avete anche da poco finito di esibirvi sul palco. Come state? Quali sono le vostre impressioni a caldo?
CHIARA – 
Bene, innanzitutto grazie a voi per l’invito e l’intervista. Stiamo bene, abbiamo finito di suonare un ora fa, siamo super contenti e ancora carichi della serata tanto da non credere di riuscire a chiudere occhio.
GIULIO – Dovuto anche a un mix di adrenalina e caffeina e l’emozione di stare su questo palco.

In primis, ragazzi complimenti per lo show bellissimo. Però ci chiediamo: Metal For Emergency è un evento che da diversi anni ormai ci regala grandi emozioni. Io, personalmente, l’ultima volta ho potuto trascinare mio fratello per rimanere folgorati dagli Anthrax e ritrovare un sacco di conoscenze diverse. Voi da protagonisti, come lo avete vissuto? Cosa avete provato da protagonisti?
CHIARA –
M4E è un esperienza bellissima, palco super e pubblico super e quindi tutto super…
GIULIO – Esatto è stato super. Tutto bellissimo. Poi siamo contenti anche perché il tempo ci ha graziato: fino all’ultimo abbiamo controllato il meteo temendo di essere colpiti dal diluvio e invece ci è andata molto bene.

Invece, per quanto riguarda l’aspetto più musicale e da musicisti: nell’insieme, com’è andata la giornata in tutti suoi elementi, come il soundcheck per esempio?
CHIARA E GIULIO – 
Con i festival bisogna velocizzare un po’ si sa, è un bel test, ai festival non si ha tanto tempo e riuscire a far funzionare la macchina con poco tempo a disposizione è sempre un dubbio. Abbiamo però potuto sperimentare qualcosa di nuovo per questo concerto e siamo soddisfatti del risultato.

Possiamo chiedervi cosa avete sperimentato?
CHIARA E GIULIO –
Assolutamente! Sopratutto degli ascolti/mix nuovi per gli in-ear e una scaletta nuova e veloce che attinge da tutto il nostro repertorio, mettendo l’accento sui brani tratti da “Animus“.

Accennavamo in off camera agli ultimi anni, alla vostra storia quinquennale e al post pandemia. La curiosità quindi galoppa e ci chiediamo come avete gestito la pandemia e il suo post, ma soprattutto cosa vi spinge a fare musica?
CHIARA – 
Sostanzialmente siamo una band nata nella fine 2018, il nostro 1°disco è uscito a metà 2019 mentre il secondo nel pieno della pandemia e ne ha sofferto. Avevamo diversi concerti in programma per la promozione del disco, ma purtroppo ne sono rimasti un paio superstiti, ovviamente per le misure di contenimento. Quindi ci è dispiaciuto non poter suonare dal vivo Lunaris, il secondo disco, perchè crediamo sia più adatto ad essere suonato live. Invece ora con l’uscita del terzo disco, abbiamo deciso di portare una scaletta che ci permette di mixare brani tratti da entrambi gli LP.
GIULIO – Difatto Lunaris era un disco pensato per essere portato live: le composizioni non erano complesse ma scritte per essere suonate dal vivo, sono brani diretti. E questo avvenimento, come per tutti, ci ha un po’ frenato ma non spento.
CHIARA – Il post covid è stata la parte più difficile. Quando si andava a suonare si vivevano situazioni diverse legate a luogo in cui ci si trovava: in italia il pubblico era seduto, mentre all’estero in piedi. Il denominatore comune era che non si sapeva mai se sarebbe cambiato qualcosa a breve o se si sarebbe tornati ad una situazione più “normale”. Con “Animus”, invece, siamo stati fortunati perchè abbiamo potuto fare il 1°aprile il release party del disco ed è stato un po’ strano perchè innanzitutto era il primo giorno in Italia in cui si poteva tornare a stare in piedi alle esibizioni live e poi perchè era quasi incredibile tornare ad esibirsi di fronte ad un pubblico danzante.

Seconda parte della domanda: chi sono le vostre ispirazioni, chi compone?
CHIARA
– Giulio è il compositore principale, si occupa della parte armonica e ritmica, ma tendenzialmente ci si divide il lavoro, lasciando spazio ad ogni strumento e senza sovrapporsi: ognuno mette il suo. Un lavoro di squadra che parte dalle linee strumentali di tastiere e batteria che Giulio scrive oppure dalle linee vocali di Chiara. L’idea di questa band è che ciascuno potesse esprimersi al massimo. Poi sapete, l’ispirazione arriva quando arriva: che sia nel cuore della notte o che ci si trovi in cima ad una montagna, bussa e si fa viva. Capita spesso anche nei momenti più strani: per esempio è successo che mentre guidavo per rientrare in casa, mi venisse in mente una linea melodica che mi ha obbligato ad
accostare mentre guidavo, l’ho registrata e subito inoltrata a Giulio e ai ragazzi, diventando
“It’s Insane”, uno dei brani di “Animus”. E il vocale è diventato poi l’intro vocale del brano stesso. Ogni brano poi ha il suo: che parta da una parte strumentale scritta da Giulio o da una mia linea vocale, diventa un lavoro a 10 mani in cui tutti noi mettiamo i nostri colori per terminare le composizioni.
GIULIO – Poi sapete, non ci si pone mai limiti: l’album contiene 10 brani? Ne abbiamo pronti magari tre volte tanto perchè appunto vogliamo fare musica, cercando anche di provocare, scrivendo quello che ci piace e ci passa per la testa come se fosse una “Metal Poke” in cui ci sono tanti ingredienti e tieni quello che ti piace veramente.
CHIARA – Non pensiamo mai al cibo!
GIULIO – I testi invece seguono una linea introspettiva: è un filone che è nato con il primo disco – “We’ll Be Free”, in cui si parla della nostra interiorità e del mondo circostante, mentre per il terzo disco invece il discorso è diverso: è una scrittura che nasce nel periodo di lockdown e il fatto di poterci sentire in videocall costantemente ci ha aiutato moltissimo ad uscire da quel periodo, a rimanere lucidi e costanti e mantenere una certa voglia di rinascita. Questa si concretizza nel trovare sempre una motivazione, per noi è stata la musica, fattore che ci ha spinto ad andare avanti nei momenti più bui. E Animus, una parola latina che significa forza d’animo, spiritualità, interiorità, rappresenta proprio tutto questo discorso: citando Ovidio la forza di volontà nonostante tutto vince ogni cosa. Scrivere questo disco è stato terapeutico e d’aiuto, ci ha sostenuto per la delusione dei concerti di promozione del secondo disco cancellati a causa della pandemia e ci ha sostenuto nel percepire questa forza vitale che ci ha spinto e dato stimoli.

Il palco è un elemento che per i musicisti ha significati diversi, chi di rivalsa, c’è chi ne è spaventato/intimorito e chi, invece, ne è esaltato. Da sotto avete dato prova di essere davvero nel vostro elemento. Descriveteci, invece, il vostro punto di vista, il rapporto con esso!
GIULIO –
Ci divertiamo tantissimo! In realtà prima di iniziare a suonare io sono un po’ ansioso e mi chiedo perché sono qua? Potrei essere a casa a leggermi un libro e poi ti fai dei film pazzeschi, del tipo: “E se poi sbaglio, quello là lo sente?”. Quando in realtà è una vaccata che non ha senso, perché i pezzi sono nostri, possiamo modificarli se ci va, nessuno ci vieta di riarrangiare, che sarebbe anche la cosa più divertente. Ma appena parte l’intro questa cosa sparisce, ti siedi al tuo posto e parti. Anche perchè interiorizzi e pensi: “ho lavorato parecchi anni per essere qui a fare questa cosa che mi piace da impazzire”. La tristezza è quando finisci la tua esibizione di quei 30-40 minuti o di un’ora come oggi, perchè ti dispiace che una cosa che ti piace un sacco sia già finita. Ed è come quando ti lanci con lo scivolo che in fondo pensi “Cavolo ma è già finito” ma prima avevi una paura folle!

Parliamo di successo e fama: molti gruppi si sfaldano nei primi 5 anni, anche se raggiungono qualche risultato. Qual è la formula ideale per non fermarsi mai e continuare a credere nel progetto? Quale suggerimento date alle nuove band o a quelle che perdono un po’ il sentiero nei momenti più difficili?
GIULIO –
Il segreto/ricetta, visto che pensiamo spesso al cibo, è di fare ciò che ci piace divertendoci e comunicando tra di noi. Non si è sempre in linea ma parlando e confrontandosi escono cose fighe sulle quali si è tutti d’accordo. Cosa che altrimenti renderebbe tutto noioso.
CHIARA – Prima che nascesse il progetto, io e Giulio avevamo già suonato insieme in passato. Lui mi richiama per propormi di suonare di nuovo insieme ma declino l’offerta. In modo subdolo…
GIULIO – Come una serpe!
CHIARA – Mi invia una mail con oggetto: canzoni top secret. Quando uno riceve una mail così fa due cose: o sposta nello spam o ascolta tutto. E così in una notte ho scritto le melodie e i testi di quei tre brani che sono finiti poi nel nostro primo disco. E il nostro nome, Moonlight Haze, deriva proprio da questo: passiamo le notti a scrivere i nostri testi, melodie e componimenti.
GIULIO – Perchè dormire la notte quando puoi stare sveglio a farti dei film fuori di testa? Non c’era l’idea di partire con un gruppo ma di fare musica né tanto meno se sarebbe uscito un disco né con chi. Se poi funziona, allora facciamo una band scrivendo ciò che piace in primo luogo a noi, e sopratutto con chi abbia la nostra stessa voglia di suonare e far musica perchè non c’è niente di peggio che provare a farlo con le persone sbagliate.
CHIARA – L’ispirazione musicale arriva da tutta la musica fatta bene, a prescindere dal genere al quale essa appartiene perchè ce n’è di bella e di brutta in tutti i generi. Poi, ovviamente, ci sono dei generi e gruppi che ci piacciono da impazzire, però se si tratta di scrivere una canzone non gliene frega niente a nessuno di mettere la chicca strumentale perchè l’ha fatto qualcuno. Ci concentriamo sull’articolare la melodia e la musica. Quando abbiamo scritto il primo disco non avevamo contratti, volevamo fare musica che avremmo ascoltato con molto piacere in macchina se le cose sarebbero andate male, poi diversamente ci è andata bene. Il consiglio che darei è quello di dire veramente qualcosa: la musica per me è sempre nata da un urgenza di volermi esprimere: è come se fosse sempre stata la lingua madre che mi permetteva di dire ciò che a parole non sono ma riuscita a dire. E quindi la cosa fondamentale per un musicista diventa quella di esprimersi costantemente attraverso la musica.
GIULIO – Ad una band che è ferma consiglio di scrivere materiale, anche se esce una schifezza non importa perchè magari tra una settimana a testa libera potresti accorgerti che invece hai scritto un pezzo della madonna. Soprattutto di investire nella musica: studia, comprati lo strumento che sogni, impara ad utilizzare al meglio il tuo strumento, qualsiasi esso sia. L’esempio calzante sono i titoli di lavorazione di alcuni nostri brani che sono imbarazzanti, perchè magari nascono giocando con una libreria sonora di un DAW, sono i programmi che si utilizzano per comporre o registrare musica. Ho trovato il suono del koto (strumento giapponese) ed è venuta fuori una delle canzoni più belle di quel disco nonostante sia nata di getto con una melodia un po’ sciocca.

Domanda tecnica da curioso e sperimentatore e che rivolgo principalmente ai chitarristi e al fonico: qual è il segreto del vostro suono? Molti dicono che la botta delle valvole non verrà mai sostituita, ma il digitale sta mostrandosi essere capace di tirare delle belle papine. La vostra opinione?
MARCO –
Il segreto è semplicissimo: il suono che si usa in un live è diverso rispetto al suono da studio, da quello che si usa sul disco. Sono proprio delle sonorità e settaggi diverse che vengono costruite appositamente per il live e che hanno accenti su delle frequenze diverse. Sono dei suoni che magari, se ascoltati con la strumentazione complessa e ricca che ti offre uno studio di registrazione suonano malissimo perchè nascono per compensare le curve degli impianti, cioè le mancanze delle loro frequenze o equalizzazioni. Ciò permette comunque al fonico di poter agire facilmente sull’equalizzazione e modificare in corso d’opera il sound. Ed è uno dei vantaggi del digitale: se hai problemi con il suono riesci a risolvere e ad avere ciò che ti serve. Sono però suoni sui quali si lavora, magari in sala prove quando si prepara lo show o si suona per divertirsi perchè diventa necessario impratichirci e fare l’orecchio con quel suono. Non è così secco come potrebbe sembrare, è pompato sulle medie frequenze, non è acido ma molto medioso, mantenendo un attacco naturale e non così pompato e che dall’impianto e dal mix riesce ad uscire molto bene. Il vantaggio sta poi nellávere il nostro fonico di fiducia che anche se dovesse mancare il soundcheck, cosa che capita durante i festival, riesce a creare un mix estremamente dignitoso e a darci il sound che ricerchiamo, anche perchè utilizziamo 4 tracce di basi e diventa difficile dare lo spazio per la voce.

Vi ringraziamo ragazzi per questo spazio e vi auguriamo tutto il meglio per la band!