Don Airey: dai colori dell’arcobaleno al viola più profondo

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INTERVISTA A DON AIREY (DEEP PURPLE) •

Parlare con un artista come Don Airey è come aprire un libro di storia del rock e sfogliarlo piano piano, per leggerlo con attenzione e poi rileggerlo più volte, perché ogni volta si può cogliere una sfumatura diversa da quelle pagine dove è scritta tutta una vita dedicata alla musica. L’attuale tastierista dei Deep Purple ci ha raccontato alcuni dei suoi percorsi musicali, tra aneddoti, ricordi e i tanti progetti a cui ha partecipato. Lo abbiamo incontrato lo scorso 16 ottobre poco prima del suo concerto al Santomato Live di Pistoia (il cui report potete leggere qui). Ecco quello che ci ha detto in questa interessante intervista fatta in collaborazione con VeroRock.

Bentornato in Italia, Don. E’ un grande onore per noi essere qui e ti ringraziamo del tempo che ci stai dedicando. Come è nata l’idea di essere un musicista e a che età? La tastiera è stato il tuo primo strumento?
A tre anni ho iniziato a suonare il piano.

Ti ricordi quale fu il primo concerto che facesti da ragazzo? Dove e quando è stato?
Suonai in una chiesa, nella zona dove sono nato, a Sunderland e suonavo il piano con la mia band. Suonavamo canzoni dei Rolling Stones, Beatles, Kinks e del blues.

E quali sono state le tue prime influenze musicali? Gli artisti e le bands che ti hanno ispirato maggiormente?
La mia ispirazione viene dalla Newcastle Brown Ale (un tipo di birra – n.d.r.) e i soldi! (ride). No, scherzi a parte la mia unica influenza è la musica classica, Chopin, Schumann, ma mi piace anche Charlie Parker, Billy Evans, Jimmy Smith…
C’era un negozio quando ero ragazzino, e la mattina ci lavoravo, lavavano le bottiglie per una farmacia, e io mi guadagnavo dei soldi per andarli poi a spendere in un negozio di dischi usati. Compravo Jerry Mulligan, Billy Evans, John Coltrane, Charlie Parker…

Hai fatto molte collaborazioni con altrettante grandi band. Come è nata quella con i Rainbow?
E’ iniziata quando Cozy (Powell – n.d.r.) mi ha detto “Ti vogliamo nella band!”, così ci mettemmo io e Ritchie (Blackmore – n.d.r.) e scrivemmo di getto “Difficult To Cure” sulle note della Nona (Sinfonia N°9 di Ludwig Van Beethoven – n.d.r).
La cosa successiva che scrivemmo insieme fu “Eyes Of The World”, di cui lui aveva già il riff (lo canta) e qualche accordo. E’ così che tutto iniziò, un pomeriggio in cui io andai a casa sua.

E con i Jethro Tull negli anni ’80? Come è iniziato il rapporto con Ian Anderson?
Sono andato ad un’audizione, tra l’altro l’ho incontrato recentemente, sono in buoni rapporti con lui. Lui è un genio, un uomo strano! (ride)

Più di Ritchie (Blackmore n.d.r.)?
Più o meno lo stesso! (ride)

E con i Judas Priest? Sappiamo che tu hai collaborato sull’album “Painkiller”: Hai avuto modo di partecipare alle composizioni dei brani?
No, sono stato in studio con loro per due settimane, in Francia, sono loro amico da molto tempo e quella fu una bella esperienza. Ma so che hanno avuto molti problemi con quell’album.

Hai suonato anche con Ozzy Osbourne…
Oh, non me lo ricordo! (ride)

Con Ozzy e Randy Rhoads… come vuoi ricordare Randy?
Quando lo incontrai per la prima volta voleva solamente parlare di Gary Moore. Lui era un grande fan di Gary. Quando Randy morì Eddie Van Halen disse “abbiamo perso il migliore chitarrista che sia mai vissuto”.

Tu eri amico di Jon Lord, che purtroppo è scomparso pochi anni fa, hai suonato live con lui negli anni ’80 se ricordo bene: ce ne vuoi parlare?
Sì, abbiamo fatto una sola cosa insieme che si chiamava “Wind In The Willows”. Dunque, c’è una cosa grandiosa che voglio raccontare. Eravamo in Giappone nel 2009 con i Deep Purple, e venne Jon a trovarci nel backstage, c’erano cinquemila persone che erano venute a vederci e il posto era veramente pieno, alla fine del mio solo di tastiere le luci si accesero, Jon venne sul palco, e il fragore del pubblico fu incredibile! La cosa ancora più incredibile fu che il promoter poi venne da me, Mr. Udo, una leggenda, e mi disse: “Don-san sei il numero uno!” e io gli risposi: “No, lui è il numero uno, Jon!”. Era difficile non essere amico di Jon.

Una cosa divertente che ti è capitata nelle tua lunga carriera e che vuoi condividere con noi?
Oh! Molte cose divertenti mi sono capitate quando suonavo con Ozzy Osbourne! Un giorno eravamo in un hotel a Chicago, stava nella lobby dove c’erano molti mobili, piante e roba del genere. Ozzy era fuori di testa e si nascondeva, Tommy Aldridge cercava di prenderlo, ma Ozzy era più veloce di quello che sembra! Così Tommy ad un certo punto è andato a finire in mezzo alle piante ed è caduto in una fontana.

Hai incontrato Ozzy di recente?
L’ultima volta è stato più o meno 10 anni fa.

Cosa vuoi fare da grande?
Vorrei suonare il piano ed andare a vedere le partite del Sunderland FC.

Progetti ufficiali e collaborazioni per l’anno che verrà?
Faccio sempre qualcosa, sto lavorando su un album con brani suonati al piano che verrà pubblicato il prossimo anno, poi un album con i Purple, un album con la mia band, e spero che le persone mi vorranno presto di nuovo in Italia!

Ti aspettiamo per lo show di Roma il prossimo novembre!
Oh sì, amo Roma!

Vuoi lasciare un messaggio per i giovani musicisti che suonano in un’epoca, quella odierna, così diversa da quando iniziasti tu?
Quando stavo al Music College, c’era un’insegnante di piano polacca, e diceva sempre “Pratica! Pratica! Pratica! Solo la pratica! Niente cinema, niente libri, niente TV! Pratica! Pratica! Finché la faccia ti diventa blu!” (imitando un accento polacco).
E’ l’unico consiglio che posso dare se si vuole ottenere qualcosa. E’ così difficile andar da qualche parte con la musica, le persone non si esercitano più e tutti barano, nessuno suona più. E’ terribile, terribile!


si ringrazia per la traduzione Connor

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